Editoriale Settimana 3

“Eccellere senza fatica”

Ogni cosa di cui ci occupiamo è una metafora della vita o, meglio, una proiezione di quello che noi viviamo in noi stessi. Quello che proiettiamo fuori non è solo materiale nostro, ma una sovrastruttura di condizionamento che abbiamo assorbito fin dall’infanzia.

Spesso ci sono auto-limitazioni in questi apprendimenti.

La musica non fa eccezione! Si suona quello che si è!

Ecco che spesso la difficoltà nello studio della musica non è legata necessariamente a poco talento ma ad un blocco interiore. Da anni mi occupo, parallelamente ai miei studi musicali, proprio di questi aspetti formativi, di quanto queste proiezioni siano così follemente reali in moltissimi casi.

La nostra missione è arrivare ai più piccoli con una modalità legata al piacere del fare, senza la paura del non riuscire, ma piuttosto con l’intento dello sperimentare; per gli adulti, offrire la possibilità di riconsiderare pensieri erronei instillati (spesso anche in buona fede) dai primi insegnanti, dai genitori e dalle figure di riferimento ai quali abbiamo istintivamente conferito credibilità e autorità.

Kenny Werner ha interpretato in modo magistrale questo argomento nel suo libro Eccellere senza fatica che può essere un balsamo per la nostra mente e i cui principi possiamo applicare ad ogni aspetto della nostra esistenza. In fondo, la musica per se stessa, a mio avviso, non ha nessun significato; questa arte è un regalo all’umanità per essere migliori e crescere individualmente e collettivamente.

Voglio condividere con voi la prefazione di questo testo illuminante.

“Si è sempre pensato che le persone di talento facciano parte di un club esclusivo. È opinione comune che “ alcuni di noi ce l’ha, altri no”, e in tale affermazione è implicito l’assunto “la maggior parte di noi non ce l’ha”. La musica (e, come credo, altre materie) è tradizionalmente considerata una disciplina adatta a colore che “ce l’hanno”. Solo allievi particolarmente dotati o avanzati assimilano il linguaggio della musica nel modo in cui viene solitamente insegnato, e forse appena il due per cento di essi riesce a ottenere qualche risultato, mentre tutti gli altri finiscono per lottare con i vari elementi dell’esecuzione o dell’improvvisazione, senza riuscire mai a diventare buoni musicisti.

Sono moltissime le persone che a un certo punto decidono di rinunciare, un fatto al quale tendiamo a a dare poca importanza, limitandoci a prendere per buono il vecchio adagio “alcuni di noi ce l’hanno, altri no”. Nelle culture meno “civilizzate” chiunque è un musicista. Ciò dipende principalmente dal modo in cui la musica viene introdotta nella nostra vita. Il presente libro si occuperà di questo argomento, offrendo prospettive ed esercizi a quanti sono convinti di “non averlo”, con l’obiettivo, inoltre, di migliorare la capacità di chi crede di “averlo”.

Secondo me, se siete in grado di parlare, potete anche suonare. Le ragioni per cui i cosiddetti individui poco dotati non vi riescono sono numerose, tuttavia esistono metodi per raggiungere lo scopo, e di essi ci occuperemo in questa sede.

Molti soffrono di ciò che io definisco musicofobia, ossia il timore di suonare musica, persone per le quali prendere in mano uno strumento equivale a toccare una stufa arroventata. Si tratta di un’idea irrazionale, dal momento che non ci si può scottare con uno strumento musicale, eppure è un problema piuttosto diffuso. Anche in completa assenza di conseguenze negative, la maggior parte di noi ha paura, ma la colpa non è nostra: siamo stati programmati a temere di suonare, e anche troppo spesso il nostro rapporto con la musica è destinato a fallire.

A volte, una persona rinuncia perché pensa di non avere sufficiente talento ma, se andiamo a guardare più da vicino, appare evidente che il problema risiede nel metodo di studio o nella sua mancanza. Molti sono ostacolati dall’incapacità di concentrarsi e dalla sensazione di essere sopraffatti da qualcosa più grande di loro, reazioni che spesso vengono scambiate per pigrizia o apatia. Vi è un grande paradosso all’origine della nostra capacità di concentrarci, e di esso e numerosi altri ci occuperemo a fondo in queste pagine.

Gli esercizi intendono aiutare persone a livelli diversi. Ad esempio, vi sono musicisti che per qualche motivo hanno poco impatto quando suonano. Apparentemente tutto è a posto, il ritmo è quello “giusto”e così via, eppure la musica non riesce a fare breccia nel cuore del pubblico. Il fatto è che essi sono prigionieri della loro mente, mancano di brio perché si limitano a seguire uno stile jazz accettabile, “valido”. Altrettanto accade a quegli esecutori di musica classica che ignorano la “canalizzazione”, dal momento che anch’essi sono dominati dalla mente conscia.

Bisogna invece affidarsi a una forza più grande o elevata, qualcosa che all’inizio può spaventare, ma che alla fine si rivelerà liberatorio. In sanscrito si usa il termine moksha, che indica la liberazione raggiungibile abbandonando il piccolo io al “Sé” superiore. Nelle pagine che seguono troverete alcuni esercizi per conseguire tale obiettivo in campo musicale e, dopo avere assaporato lo stato di moksha, attraverso la musica, non vorrete più tornare a “pensare musica”. Quando si va oltre l’accettabile per raggiungere l’inevitabile, la creatività erompe copiosa e le capacità personali si moltiplicano.

Vi è una verità che tutti i musicisti devono tenere presente: apprendere nuove, sofisticate teorie jazz non costituisce necessariamente la chiave della libertà. Infatti, una volta divenuti padroni di una nuova teoria, potreste rischiare di metterla in atto con la stessa noiosa prevedibilità della vecchia. Se non siete in gradi di usare adeguatamente gli strumenti di cui disponete ora, non riuscirete a farlo nemmeno con altri. In oltre molti suonatori di jazz se rendono conto che l’improvvisazione racchiude esperienze che essi non comprendono o non conoscono sufficienza; ciò accade anche a quegli esecutori di musica classica che riscontrano una certa “aridità” nelle loro interpretazioni di grandi compositori.

È un po’ quello che avviene nel caso di un prete che dentro di sé non ama Dio: le regole sono osservate, ma manca un vero sentimento. Se la luce non si accende, la musica può essere noiosa come qualsiasi altra cosa. Al desiderio di un’esperienza più profonda si accompagna un forte stimolo a diventare un musicista migliore, due aspetti che spesso sono in contrasto tra loro. La vera profondità musicale non significa suonare meglio, ma suonare in maniera più “naturale”.

Non è affatto facile lasciarsi andare mentre si cerca di eseguire un brano nel modo migliore; tuttavia, gli esercizi presentati in questo libro vi aiuteranno ad ampliare il vostro “sé intuitivo”, e con il tempo tale intuizione emergerà spontaneamente, senza pregiudicare l’aspetto tecnico dell’esecuzione. Riuscire a integrarsi nel tutto dipende principalmente dal saper “dimenticare” il proprio sé.

Le persone che fanno meditazione o Hai Chi riconosceranno sicuramente molti dei principi contenuti nel presente testo; forse anch’esse, però, resteranno sorprese nell’apprendere che è possibile mantenere uno stato meditativo mentre si suona uno strumento. La principale responsabile di molti problemi legati alla musica è la mente, e pertanto qualsiasi disciplina che miri a controllarla è complementare al processo qui descritto. Attraverso il musicista, la musica può colpire come un lampo nel cielo, se non è ostacolata da pensieri, di conseguenza, eliminare questi ultimi diventa estremamente importante.

Gli esercizi presentati in questa sede risparmieranno ai principianti disfunzionali, come ve ne sono molti tra gli aspiranti suonatori di jazz, lunghi tirocini e lo studio di numerosi testi, aiutandoli a conoscere la fase successiva del loro sviluppo e a mettere da parte le teorie, i metodi e le mode per concentrarsi invece sulla loro vita e sul significato personale che la musica ha per ciascuno. In molti casi, la decisione di studiare musica li ha privati della capacità di suonarla. Essi hanno perso il rispetto per la musica che viene dall’interno, perché sono stati programmati a sentirsi “indegni”.

Questo libro contribuirà a far sì che tali persone tornino ad amare e rispettare se stesse, con o senza musica! Persino alcuni grandi professionisti soffrono di scarsa autostima e atre frustrazioni.

A quanti si dedicano a cose che non emergono mai nel loro modo di suonare (e non sono pochi) spiegherò perché questo avviene e come risolvere il problema. Parleremo anche del rapporto che intercorre tra il sistema di convinzioni e la validità delle proprie azioni, non che del fatto che, spesso, “ci esercitiamo per la mediocrità”.

Inoltre, approfondiremo la natura dell’abilità artistica e ci occuperemo in maniera piuttosto esauriente di quella che si definisce maestria. Vi insegnerò a suonare senza fatica ciò che già conoscete e a raggiungere una profondità che pensavate per voi inaccessibile.

Esistono senza dubbio artisti che traggono piacere dalla musica, che sanno sempre come trovare ispirazione e suonare con naturalezza, ma si tratta di una piccola percentuale. Questo libro è dedicato principalmente a coloro che non riescono a realizzare le proprie speranze e i propri sogni in campo musicale, e a quei musicisti che mentre suonano avvertono un senso di tensione e limitazione. Alcuni dei concetti qui espressi sono piuttosto radicali, in quanto sfidano le istituzioni a cambiare e gli individui a lasciare una comoda mediocrità per aprirsi al loro sé superiore. Se suonate da trent’anni e nel farlo non vi siete quasi mai divertiti, se vi paragonate continuamente ad altri musicisti, pensando che essi possiedano qualcosa che voi non avete, se vi esercitate ormai da tempo, senza mai realmente migliorare, continuate a leggere.

Al prossimo editoriale,

un caloroso abbraccio, CMassimo

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